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ТЕМА: 3) Inevitabile Follia

3) Inevitabile Follia 10 года, 9 мес. назад #105

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Capitolo 1

Bethany si precipitò verso il caffè tanto pittoresco quanto costoso dove aveva pranzato, agitata da una sinfonia dissonante di speranza, frustrazione e ansia.
Era a Roma da tre giorni. Tre giornate splendide, calde, in cui aveva trascorso più tempo a perdersi che a visitare la città, senza avvicinarsi neanche un po' al conseguimento del suo obiettivo. Il piano – venire in Italia, incontrare un uomo affascinante, spassarsela con lui per una settimana o giù di lì per poi tornarsene a casa con la convinzione di non essere per niente una frigida puritana come insisteva il suo ex marito – era stato assurdo fin dall'inizio. Non secondo sua madre, ovviamente, visto che l'idea era stata sua. Aveva regalato a Bethany un viaggio a Roma, tutto spesato, oltre a fornirle una serie di consigli su come migliorare il proprio aspetto e il suggerimento di vivere un'avventura senza legami.
Sentire questi consigli dalla bocca di una donna timida e piuttosto tradizionalista, che oltretutto era stata sposata con lo stesso uomo per più di trent'anni, sarebbe stato divertente da morire se non fosse stato così sconcertante.
E per non dare un dispiacere alla madre, Bethany aveva deciso di seguire i suoi consigli. Aveva speso ben cento dollari per farsi fare un taglio elegante e ravvivare il castano scialbo dei suoi capelli con dei colpi di sole, e altri trenta per un kit "Danza del ventre in 10 lezioni", per non parlare delle serate trascorse a usare i cimbali e seguire i suggerimenti compresi nel kit su come entrare in contatto con la sensualità che c'era in lei. Non era sicura che fosse servito a molto, ma adesso era un'esperta in fatto di ancheggiamenti. Si era addirittura fatta fare la prima pedicure della sua vita; ora stava bene anche con i sandali.
Ma a quanto pare niente di tutto ciò era servito a farla apparire anche vagamente meno noiosa all'altro sesso; forse il suo ex marito aveva ragione.
Spingendo la porta del locale, si catapultò dentro, finendo contro un muro. Non ricordava che ci fosse un muro di fronte all'entrata.
Un po' stordita, rifletté su quella stranezza finché il muro non si spostò e sentì due mani calde che le si posavano sulle spalle. "Mi scusi. Si è fatta male?"
Alzò la testa e incontrò due intensi occhi scuri in un viso che avrebbe fatto invidia agli angeli. Non aveva mai visto un uomo così bello. Perfino il suo ex marito, Kurt, era solo un ragazzo carino in confronto a questo Adone italiano che irradiava virilità e maturità. Non che fosse vecchio, anzi. Probabilmente non aveva più di trent'anni, ma nel suo sguardo c'era una miniera di consapevolezza sofisticata che lei non sperava di arrivare a possedere neanche a novant'anni.
"I'm sorry... Cioè, mi scusi" disse, sforzandosi di ricordare le frasi del corso d'italiano in cassetta che sua madre aveva insistito che ascoltasse in aereo.
"È inglese?". La sua voce, incredibilmente sensuale, la toccò in un punto che non era mai stato neanche sfiorato in due anni di intimità coniugale, e Bethany trattenne a stento un brivido.
"Americana."
Quelle mani le strinsero le spalle, ma non la respinsero, né lei cercò di spostarsi.
"Non si deve scusare."
"Ero distratta."
"Mi fa molto piacere." Le sorrise, l'implicazione delle sue parole era tanto inconfondibile quanto l'apprezzamento maschile nel suo sguardo.
Era come se l'aria intorno a lei fosse stata risucchiata da un vortice, lasciandola intontita e incapace di proferire una risposta al commento quasi sfacciato di lui.
"Ha fretta?" le chiese.
"Fretta?"
Ebbe un tuffo al cuore alla vista di quel sorriso che si faceva sempre più smagliante.
"È entrata proprio di corsa."
"Ah, sì. Io... sì, ho fretta" farfugliò. "Ho... lasciato qui la borsa, prima... me ne sono accorta solo quando volevo comprare un biglietto della metropolitana..."
Lo sguardo di lui si fece serio. "Questa è una cosa grave."
"Sì." Ma in quel momento non riusciva a ricordarsi il perché.
Una voce dietro di loro disse qualcosa, e lui si girò, lasciando ricadere le mani. Si scusò per aver bloccato l'ingresso, poi, cingendole la vita con un braccio come se si conoscessero da sempre, la allontanò dalla porta per far entrare una coppia. La donna – che sembrava una giovane Sophia Loren, bruna e affascinante – lanciò a Bethany uno sguardo a metà fra l'incuriosito e l'invidioso. Bethany si stupì per quell'evidente invidia, considerando che anche il compagno dell'altra donna non era niente male.
Ma non si soffermò troppo a pensare allo sguardo della donna. Non ci riusciva, non con la pressione di quella mano sulla vita. Il tocco delle dita dello sconosciuto sprigionava scintille di calore che dai fianchi si diffondevano al resto del corpo, provocando in lei una reazione che non aveva mai provato fino ad allora. Aveva letto dell'attrazione sessuale istantanea ma non l'aveva mai sperimentata, e niente di quello che c'era nei libri si avvicinava minimamente alle sensazioni che adesso l'avevano pervasa. Riusciva a malapena a respirare, e il suo cervello molto probabilmente aveva smesso di funzionare.
Forse era per questo che non si era ancora data da fare per recuperare la borsa. "Devo..." ma la sua voce si affievolì quando incrociò di nuovo lo sguardo di lui.
"Chiederò io della sua borsa."
"Grazie."
La condusse con sé, la mano ancora saldamente posata sul suo fianco... e lei lo lasciò fare.
La possibilità che lui non provasse quella stessa irresistibile attrazione sessuale che le travolgeva i sensi cercò di prendere forma come idea coerente, ma la respinse. Una cosa tanto potente non poteva essere a senso unico. O no?
Sorridendo e parlando rapidamente in italiano, il proprietario del caffè, un omino dall'aria simpatica, tirò fuori la borsa di Bethany non appena il suo compagno gliela chiese.
Le passò la borsetta rosa e nera, appena più grande di un portafoglio, sgridandola bonariamente: "Dovrebbe stare più attenta, signorina". Scosse la testa. "Se non l'avessi vista sulla sedia..."
"Sicuramente sarebbe sparita" disse l'uomo al fianco di Bethany.
Lei gli lanciò un'occhiata di traverso, chiedendosi se la considerasse una sciocca per aver dimenticato la borsa, ma aveva un'espressione seria, non critica.
"Non ci tengo né il passaporto, né tanti soldi" disse, sulla difensiva. "Solo qualche euro, la patente per non andare in giro senza un documento e una carta di credito."
"Controlli che ci sia tutto. Qualcuno potrebbe aver visto la borsa prima di Antonio."
Lei annuì e rovistò rapidamente in borsa. Non si preoccupava tanto per i trucchi e gli altri oggetti femminili che aveva iniziato a portarsi dietro da quando era in Italia, ma sembrava tutto a posto.
Guardò il proprietario del locale e sorrise. "Non manca niente."
Lui annuì, gonfiando il petto per l'orgoglio. "L'ho vista appena se n'è andata, e l'ho messa dietro al bancone."
"Grazie." Porse del denaro ad Antonio in segno di riconoscenza, ma lui si rifiutò di prenderlo.
"Ma no, signorina. Per me aiutare una donna bella come lei è un vero piacere."
Lei rise di questo esempio tipico dell'esagerazione degli italiani. "Be', grazie comunque."
"Non gli crede?" le chiese l'affascinante sconosciuto.
"Che per lui è stato un piacere aiutarmi? Non ne dubito. Sembra un uomo molto gentile." Sorrise di nuovo al proprietario del caffè. "Mi ha evitato una grande scocciatura. Grazie, davvero."
"Ah, quindi è sulla sua bellezza che nutre dei dubbi?" indagò il suo prode cavaliere con tono scherzoso.
Lei scrollò le spalle, ma quando gli sfiorò per sbaglio il petto con le braccia, le sinapsi che collegavano il cervello e la bocca finirono temporaneamente fuori uso, e dovette cercare di ricordarsi quale fosse stata la domanda prima di potergli rispondere.

Capitolo 2

"Be' non sono certo Miss America, ma penso che poche donne lo siano."
Era in cerca di qualche complimento? Andrea fece un passo indietro e le percorse lentamente il corpo con lo sguardo, da capo a piedi. "Non mi dispiacerebbe vederla in abito da sera. Fa parte del concorso, no? Oppure in costume da bagno..."
"Cosa?"
Andrea quasi scoppiò a ridere nel vedere l'espressione di incredulità apparsa sul volto di quella bella donna, ma ovviamente non lo fece. Già sembrava sul punto di scappare via. Emanava incertezza e timidezza e all'improvviso Andrea si sentì assalito da un desiderio, provato assai raramente ma potente quanto l'onda di tempesta che travolge una nave, di proteggerla da qualunque pericolo.
"Sono certo che questo si possa fare, se la inviti a cena. Portala in un posto carino, così si può mettere in ghingheri per te. E poi domani la puoi accompagnare fuori città, ci sono tanti bei posti per fare il bagno." L'intervento maldestro di Antonio trasformò i pensieri che attraversavano la mente di Andrea da sensuali in incandescenti.
Il vestitino che indossava celava a malapena quel tipo di curve che alimentavano le sue fantasie notturne, e l'idea di vederle coperte solo da un bikini striminzito mentre nuotava gli rese alquanto stretti i pantaloni.
"Ma io... non è necessario... Non deve..." Sembrava che si stesse soffocando da sola nel tentativo di parlare.
"Così la metti in imbarazzo, Antonio" lo rimproverò Andrea.
"Non fare l'idiota." L'amico più caro e di più lunga data di suo padre lo guardò con disapprovazione. "Ah, i giovani. Guarda che ti sto facendo un favore, non lo capisci? Alla tua età, io non avrei certo avuto bisogno che un vecchio mi suggerisse di invitare una bella ragazza a cena. Chiedilo a tuo padre."
Prima che Andrea potesse rispondere, la donna si era già staccata da lui, allontanandosi con un sorriso forzato stampato sul viso. "È meglio che vada."
"È già impegnata?" Si avvicinò a lei, annullando la breve distanza che adesso c'era tra i loro corpi, desiderando anche un contatto così innocente con un ardore che lo sconvolgeva. "Deve incontrare qualcuno?"
"Ehm... no" ammise lei, gli occhi grigi spalancati. "Non ho nessun programma particolare, però volevo cercare di visitare i Fori Imperiali. Se trovarli è difficile come trovare la Cappella Sistina, probabilmente mi perderò di nuovo. Sembra impossibile, vero? Scommetto che tutti qui sanno esattamente dove si trovano, ma io sono già riuscita a prendere l'autobus sbagliato due volte."
Cominciò a indietreggiare verso la porta con un'aria afflitta. "Se non vado ora, non arriverò in tempo per una visita guidata."
Andrea allungò la mano per afferrarle il braccio prima che finisse addosso al tavolino dietro di lei, che tra l'altro era occupato. "Faccia attenzione."
Bethany guardò dietro le spalle, si accorse del tavolo e si girò di nuovo a fissarlo, arrossendo. "Non avevo visto... be', grazie."
Lui l'attirò di nuovo a sé, senza capire questo bisogno che sentiva di toccarla, ma più che disposto ad assecondarlo. "Vuole visitare i Fori?"
"Sì" sospirò lei, arrossendo ancora di più. "C'è così tanto che voglio vedere, ma ogni giorno perdo ore intere a cercare i posti. Le sembrerò senz'altro una stupida."
Sembrava semmai una donna che non avrebbe dovuto trovarsi da sola in una città come Roma.
"Roma è grande. È facile perdersi."
"Scommetto che a lei non succede mai."
"Certo che no." Poi sorrise. "Ma è anche vero che io questa città la conosco piuttosto bene, pur non abitandoci." Si fermò per vedere se avrebbe abboccato, chiedendogli indicazioni o, meglio ancora, di farle da cicerone.
"Purtroppo sarei in grado di perdermi anche se vivessi qui da anni. Kurt diceva che mi dimenticavo da che parte andare anche quando uscivo dal bagno."
"Chi sarebbe questo Kurt?" . L'idea che ci fosse un altro uomo nella sua vita lo infastidiva molto più di quanto avrebbe dovuto, considerando che non sapeva neanche come si chiamasse.
"Il mio ex marito."
"Ah. Be', le opinioni di un uomo tanto folle da lasciarsela scappare non meritano di essere ricordate."
La sconosciuta si mise a ridere, scuotendo la testa come aveva fatto prima quando Antonio l'aveva definita bella. "Lo dice anche mia madre."
"È una donna saggia."
"Sì, è vero. Lei sicuramente non si perderebbe cercando di trovare le attrazioni di Roma. Voleva che facessi un viaggio organizzato." Aggrottò le sopracciglia, sciupando i dolci lineamenti del viso. "Forse aveva ragione."
"Assolutamente no. Se fosse stata con un gruppo, non ci saremmo incontrati."
"Oh..." Lo guardò come se cercasse di capire quel che aveva detto, ma, dal momento che il suo inglese era ottimo, non poteva trattarsi di un'incomprensione linguistica.
"L'accompagnerò io a vedere i Fori."
Le si illuminarono gli occhi, ma poi la sua espressione si fece preoccupata e lanciò un'occhiata ad Antonio. "Ma..."
"Stia tranquilla, signorina. Questo è Andrea di Rinaldi. È un bravo ragazzo. Conosco suo padre da quando eravamo ragazzi, giocavamo nella stessa squadra di calcio. Spesso viene a Roma per affari e si ferma a salutare questo povero vecchio."
Lei non sembrava particolarmente rassicurata. "Non le ho raccontato tutto questo nella speranza di trovare un accompagnatore" disse tutto d'un fiato.
"Ma signorina, devo essere io a spiegarle come fare?" chiese Antonio con un tono a metà fra lo scandalizzato e il divertito; nel frattempo, i suoi occhi segnalavano ad Andrea che si trattava di una donna speciale.
Ma Andrea l'aveva già capito per conto suo. "Non l'avrei detto se non volessi davvero."
"È sicuro di avere il tempo di accompagnarmi?" gli chiese.
"Oggi sono completamente libero, il che non capita spesso. Dev'essere il destino."
Lo fissò per qualche secondo, mordicchiandosi il labbro inferiore, gli occhi pieni di esitazione. Lui aspettò; non voleva metterle pressione, ma sapeva che se per caso avesse rifiutato, sarebbe stato disposto a fare qualunque cosa pur di scoprire dove alloggiava e architettare un altro incontro. Non aveva mai provato una simile attrazione per una donna e, per quanto lei lo intrigasse, non gli piaceva avere così poco controllo sui propri desideri. C'era inoltre una piccola parte di lui, quella dell'uomo cinico che era cresciuto circondato dal lusso e a cui era stato insegnato che la gente avrebbe sempre tentato di approfittarsi di lui, che si chiedeva se una donna potesse essere davvero tanto sincera come appariva quella che gli stava davanti.
Ma non permise a nessuna di queste emozioni contrastanti di palesarsi sul suo viso.
Con un sospiro quasi impercettibile, la donna gli tese la mano. "Mi chiamo Bethany Dayton e le sarei molto grata se mi aiutasse a trovare i Fori senza perdermi di nuovo."
Andrea, lasciandosi vincere dalla tentazione che aveva provato fin da quando gli si era gettata tra le braccia, la avvicinò a sé e si chinò a baciarle le guance. Aveva la pelle morbidissima e profumava di primavera... di sole e fiori.
Gli rimase tra le braccia, senza neanche tentare di liberarsi, le labbra socchiuse come se si aspettasse un bacio molto più intimo, un bacio che lui dovette sforzarsi per non concederle.
"Sono felice di conoscerti, Bethany" rispose.
* * *
Bethany non riusciva a mettere in fila neanche due parole per rispondergli dopo che l'aveva praticamente baciata.
Be', in effetti l'aveva baciata per davvero, anche se non sulla bocca.
Chi l'avrebbe detto che avrebbe sentito divampare un simile fuoco dentro di sé al tocco di quelle labbra sulle sue guance? Per fortuna il suo vestito era di un tessuto piuttosto spesso, altrimenti l'improvviso inturgidirsi dei suoi capezzoli sarebbe stato decisamente imbarazzante oltre che fastidioso.

Capitolo 3

Bethany si sforzò di riprendere il controllo delle proprie emozioni mentre Andrea salutava l'amico. Il fatto che continuasse a tenerle sal¬damente la mano mentre la conduceva fuori dal ristorante non le era certo di aiuto.
Si fermò accanto a un'automobile nera, posteggiata vicino il marciapiede. Era un'auto sportiva, e sembrava piuttosto costosa. Sembrava anche troppo bassa per poter accogliere un uomo tanto alto, ma Andrea, dopo essersi chinato su di lei per allacciarle la cintura, cosa che rese il suo respiro simile a quello di un maratoneta in dirittura d'arrivo, scivolò al posto di guida senza alcun problema.
Stavolta, al contrario del viaggio in taxi dall'aeroporto all'albergo – era stata in preda al panico per tutto il tempo a causa della vicinanza delle altre macchine – Bethany si accorse a malapena del traffico. Era troppo presa a memorizzare ogni dettaglio di quel volto, di quel corpo.
Quasi non riusciva a credere di trovarsi lì con lui; non solo perché era praticamente uno sconosciuto ma soprattutto perché era il tipo di uomo che avrebbe fatto svenire qualunque donna incontrasse.
Si voltò per sorriderle. "Mi stai fissando."
"Ti disturba?"
"Che una bella donna mi guardi? Ricordati che stiamo parlando del maschio italiano! È ovvio che mi piace, anche se mi rende un po' difficile guidare."
"Ti disturba che la gente ti guardi mentre guidi?"
"Il fatto che sia tu a guardarmi è una distrazione enorme per me. I tuoi occhi mi fanno pensare a cose che non hanno niente a che vedere con il traffico o la strada."
"Tipo?" gli chiese, per poi pentirsene, avendo capito all'improvviso cosa intendesse con quelle parole.
Lui si mise a ridere e lei si sentì avvampare.
"Vuoi davvero che ti risponda?"
"Ehm... no."
Era sicuro di sé; trasudava sensualità e virilità. "Potremmo parlarne stasera a cena."
"Vuoi portarmi a cena?"
"Certo, dolcezza."
Dolcezza. Le piaceva sentirselo dire. Si sentì scaldare il cuore, e il calore si diffuse per tutto il corpo all'idea di cosa potesse significare. "Mi piacerebbe."
***
La portò in un ristorante di lusso proprio come aveva suggerito il suo amico. Lei la prese come scusa per indossare il vestito rosso rubino, esageratamente corto ed esageratamente costoso, che sua madre aveva insistito che si comprasse la settimana prima di partire. Le arrivava solo fino a metà coscia, cosa a cui non era abituata, ma l'apprezzamento sfacciatamente maschile nello sguardo di lui quando lo raggiunse nella hall dell'albergo la ricompensò per aver preferito l'audacia alla monotonia.
Tuttavia, venti minuti più tardi, seduta a tavola in un ristorante davvero lussuoso, si sentiva molto a disagio visto che il tessuto aderente la ricopriva a malapena. Il fatto che la tovaglia le celasse le cosce ora scoperte non era una consolazione perché lo sguardo di Andrea le faceva capire che non solo aveva intuito il suo imbarazzo, ma anche che aveva una specie di vista a raggi X.
Era tutto il giorno che si comportava così; scherzava e la provocava, ricordandole la sua femminilità. Le ore trascorse ai Fori erano state incredibili. Non solo Andrea l'aveva accompagnata senza che si perdessero; le aveva anche fatto da guida privata, dimostrando di conoscere a fondo la storia romana – fatto che l'aveva sorpresa e affascinata.
"Lo stai facendo di nuovo, Bethany."
"Che cosa?"
"Mi stai fissando."
Trasalì, arrossendo per l'imbarazzo. Era vero. Ma lui era così bello e poi, in giacca e cravatta, sembrava un milionario, non certo un tipo conosciuto al bar dell'amico di famiglia.
"È più forte di me" confessò.
Il sorriso smagliante di Andrea le fece sobbalzare il cuore; il suo corpo fu percorso da un fremito.
"Sei molto diretta."
"Perché ammetto che mi piace guardarti?" Non era abile in quelle schermaglie amorose nelle quali il suo ex era, invece, così esperto e che Andrea chiaramente si aspettava da lei.
"Non fingi, e questo mi piace." Dal suo sguardo malizioso si capiva esattamente a cosa si stesse riferendo.
"Non ho molta esperienza in questo tipo di gioco."
"Non ci credo."
"Hai ragione. In effetti una certa esperienza ce l'ho..." Sorrise, soddisfatta, osservando che i suoi occhi scuri si erano infiammati di desiderio.
"Sono contento di sentirtelo dire."
Gli sorrise di nuovo e sbatté le palpebre con aria civettuola, atteggiandosi a vamp. "Anzi, mi dicono che con la bocca sono proprio brava."
Andrea la fissò esterrefatto e lei, cercando di non ridergli in faccia, si avvicinò per sussurrargli "Suono la tuba" con tono cospiratorio.
Lui scoppiò a ridere, attirando l'attenzione degli altri clienti e uno sguardo di censura da parte del cameriere. Scosse la testa, incredulo ma divertito. "La tuba?!"
"Dovevo allenarmi con i pesi per mantenermi in forma, quando suonavo nell'orchestra della scuola, ma d'inverno mi trovavo avvantaggiata rispetto agli altri. Il mio strumento faceva da barriera al vento quando marciavamo."
"E fai ancora sollevamento pesi?"
"A dire il vero, sì. È una cosa che mi piace molto. Vedi?" Gli mostrò i muscoli; non era certo una culturista, ma era piuttosto in forma.
"Lo vedo e ti trovo bellissima" rispose, sfiorandole lentamente il bicipite.
Le sensazioni che le esplosero dentro sciolsero immediatamente quei muscoli tonificati, lasciandola a bocca aperta.
Lui inarcò il sopracciglio.
"Mi sconvolge il fatto di reagire così ogni volta che mi tocchi" gli confessò.
Andrea le lanciò un sorriso languido, lasciando scivolare il dito sotto la spallina del vestito mentre lei abbassava il braccio.
"L'attrazione reciproca tra un uomo e una donna rende speciale anche il tocco più semplice."
La faccenda dell'attrazione reciproca le piaceva. "Sarà, ma direi che si tratta di più di questo. Per l'amor del cielo, tutto il mio corpo reagisce così a quello che dovrebbe essere soltanto una carezza!"
"L'ho notato." I suoi occhi scuri si posarono sul seno di lei, che si era chiaramente inturgidito sotto il tessuto aderente del vestito. "E ne sono lieto, Bethany."
Quel tono di autocompiacimento, insieme all'espressione fin troppo maliziosa che gli era apparsa sul viso, la fecero sentire vulnerabile, il che finì per farla arrabbiare. Non era certo venuta in Italia per cadere nelle grinfie di un altro uomo sexy ed esperto. No, la sua missione era quella di rafforzare se stessa e la sua femminilità umiliata.
Era facile per lui dire che l'attrazione fra loro era reciproca, quando solo lei mostrava il suo desiderio al mondo intero.
Si scostò improvvisamente, incrociando le braccia sul petto nel tentativo di proteggersi da quello sguardo insistente.
Il sorriso sparì subito dal volto di Andrea, sostituito da un'espressione quasi feroce.
"Credi davvero che una reazione tanto potente possa essere unilaterale? In questo momento non sono in grado neanche di alzarmi in piedi."
Incuriosita, Bethany lanciò un'occhiata alla parte del suo corpo nascosta dal tavolo.
"Proprio così" ammise lui con una smorfia. "Se il tuo corpo è così sensibile a quello che c'è tra di noi, figuriamoci il mio... sebbene non sia più un adolescente preda degli ormoni, che si eccita anche solo sfiorando la pelle nuda di una donna."
Eppure era successo proprio questo.

Capitolo 4

"Non dovresti avere paura, dolcezza, perché anch'io sono in balia di questa... cosa... che c'è tra noi."
"Spiegati meglio."
"Questa attrazione sessuale talmente forte da sopraffare ogni logica. Credi forse che io abbia l'abitudine di abbordare sconosciute, per quanto belle, e trascorrere la giornata con loro?"
"Non lo so. L'hai detto tu stesso. Non ci conosciamo neanche."
"Ti assicuro che non lo faccio mai. Così come tu di solito non vai a cena con un uomo che hai appena conosciuto."
"E come lo sai?"
La fissò con quegli occhi scuri che vedevano troppo. "Lo so e basta."
La ragione la esortava a non credere che un uomo tanto incredibile come quello che le sedeva di fronte potesse sentirsi così colpito da lei, ma il suo cuore batteva più forte all'idea che le avesse detto la verità.
"Ma queste cose non succedono... e io non credo nell'amore a prima vista." Soprattutto non dopo il suo matrimonio catastrofico... risultato di un corteggiamento fin troppo breve.
"L'amore vero, duraturo, fra due persone deve crescere, va coltivato." Dalle sue parole sembrava essere d'accordo con lei, ma sia tono che espressione mettevano in dubbio le affermazioni di entrambi.
"Già" insisté lei. "Come le piante. I fiori sbocciano solo grazie a tante cure, acqua, sole e terreno fertile. Il vero amore non può capitare da un secondo all'altro."
"Ma ci sono anche piante che nascono e maturano in un giorno solo. Sono uniche, o perlomeno rarissime... ma non meno vere delle piante più convenzionali."
"Cosa stai cercando di dirmi?"
"Non lo so, ma quello che c'è tra di noi... non possiamo semplicemente fingere che non esista."
"No, non possiamo" convenne lei, la voce roca per l'emozione. Aveva un nodo alla gola e faticava a respirare.
Lui allungò di nuovo la mano, stavolta afferrandole entrambi i polsi. "Non provare a nasconderti."
Bethany cercò di resistergli, la mente in lotta con il cuore e il corpo, finché non si accorse che il viso di lui rifletteva esattamente lo stesso bisogno, le stesse emozioni contrastanti che si erano scatenate in lei, e lasciò che si impadronisse delle sue mani.
Andrea le accarezzò i polsi con i pollici, lo sguardo fisso nel suo. "Non si tratta solo di attrazione fisica, Bethany."
Gli credette, perché aveva dato voce a ciò che sentiva anche lei. "Lo so."
Dopo cena ballarono stretti l'uno all'altra. Bethany sentiva l'effetto che quella vicinanza aveva su di lui, che però non le suggerì di spostarsi in un luogo più appartato.
Parlarono a voce bassa. Lei gli raccontò del motivo per cui era venuta in Italia, del suo matrimonio breve ma orribile e del divorzio che era seguito. Lui le raccontò del fratello maggiore e di una donna che era innamorata di lui. Parlò di questa Gianna in termini così lusinghieri che Bethany cominciò a irrigidirsi tra le sue braccia.
Andrea le carezzò la schiena in maniera rassicurante, ma allo stesso tempo la trattenne con tutta la sua forza. "Sono affezionato a Gianna, ma niente di più. Per me è come una sorella, e credo che anche per Enrico sia così, ma lei prova qualcos'altro per lui."
"Vorresti che lui la ricambiasse?"
"Enrico è fidanzato con una opportunista e tutta la famiglia spera che rinsavisca prima che sia troppo tardi. Sarebbe molto, molto meglio se si mettesse con Gianna."
"Opportunista?"
"È interessata solo ai suoi soldi e alla posizione sociale che guadagnerebbe, sposandolo. Non è capace di amare nessuno."
"Tuo fratello deve essere piuttosto ricco."
"Mio padre sta per andare in pensione. Enrico è presidente della Banca Rinaldi."
La Banca Rinaldi aveva filiali in tutta Italia. "Vuoi dire che dirige una delle filiali?"
"Le banche Rinaldi appartengono alla mia famiglia."
Stavolta riuscì a tirarsi indietro. "Possiedi una banca?"
"Sono un azionista della banca, come mio padre e mio fratello e alcuni cugini." La prese di nuovo tra le braccia, quasi con forza. "Rilassati, Bethany. Non ha nessuna importanza."
"Non dirigi la banca?"
"No."
Sorrise sollevata e si appoggiò di nuovo a lui.
"Sono Presidente del Consiglio di Amministrazione. Io e mio fratello la dirigiamo insieme."
Stavolta, prima che si irrigidisse, le posò le labbra sul collo e cominciò a fare delle cose che nuocevano gravemente al suo equilibrio. "È poi così importante quello che sono?"
"Il tuo stile di vita è così distante dal mio che potremmo vivere su due pianeti diversi. Scommetto che mangi sempre in ristoranti come questo. Io no. Anzi, non ho mai ordinato da un menù senza prezzi prima d'ora. Guido una normalissima Ford Escort e quando ho qualcosa da festeggiare mi concedo un frappè. Tu invece probabilmente tieni in ufficio una bottiglia di champagne per le occasioni speciali..."
Andrea si fermò, fissandola con un'espressione così seria che lei non riuscì a distogliere lo sguardo. "Sì, sono cresciuto circondato dalla ricchezza e ho visto che effetto fa sulla gente. La promessa sposa di mio fratello è un esempio tipico del mio ambiente e non è il genere di donna con cui voglio passare il mio tempo."
"Non tutte le donne ricche sono così."
"Certo che no, mia madre per esempio non lo è, ma non ho mai conosciuto nessuna come te, Bethany, e vorrei stare con te anche se facessi la spogliarellista."
"Lavoro in una compagnia di assicurazioni."
"Bene. In effetti forse a mia madre non piacerebbe che tu fossi una spogliarellista!"
Le aveva parlato molto dei suoi genitori e Bethany si era resa conto che non erano poi così diversi dai suoi.
Amavano i figli e, da quello che le aveva raccontato, la madre di Andrea era la classica mamma disposta a tutto pur di rendere felici i figli. Proprio come la sua. "La tua famiglia sembra fantastica."
"Lo è." Dalla sua voce si capiva benissimo quanto fosse importante la famiglia per lui e questo aprì un'altra breccia nel muro elevato intorno al cuore di Bethany.
Ballarono finché la musica, lenta fino ad allora, non si fece più ritmata, poi Andrea pagò il conto e la portò a fare due passi.
Il cielo notturno lasciava intravedere poche stelle, a causa dell'inquinamento luminoso, ma la serata era comunque incredibilmente romantica... o forse era il suo compagno a renderla tale.
"Quindi sei venuta a Roma alla ricerca di un'avventura?"
Bethany attorcigliò nervosamente la mano in quella di Andrea. "Detto così, sembra una cosa terribile."
"No, solo interessante."
Non gli chiese cosa intendesse.
Per tutta la giornata le aveva dimostrato che la voleva, e soprattutto quanto. L'unica domanda era se lei avrebbe accettato di andare fino in fondo.
In realtà Bethany non aveva pensato di restare così coinvolta emotivamente, di sicuro non in un lasso di tempo tanto breve, ed era terrorizzata all'idea che se avessero fatto l'amore questo coinvolgimento sarebbe aumentato.
"Forse ero fuori di testa quando ho detto a mia madre che ci avrei provato."
"Ma adesso sei qui e mi desideri, Bethany."
Non gli rispose; il silenzio era la sua unica difesa.
Lui si arrestò di colpo, e guardandola negli occhi chiese: "Tu mi vuoi?".
"Sì."
"E vuoi aspettare?" proseguì, non sapendo come avrebbe reagito se avesse risposto di sì anche a questa domanda.
"Non mi hai neanche baciata." Dai suoi dolci occhi grigi trasparivano confusione e incertezza.
Credeva davvero che avesse bisogno di baciarla per capire di desiderarla?
"Se comincio potrei non essere più in grado di fermarmi."
"Davvero?"
"Davvero."
"Ti è sempre così difficile controllarti?"
"Lo sai che non è così."
"Sì. Me lo hai detto."
E lei gli aveva creduto. Questo lo rendeva felice.
Bethany si umettò le labbra, respirando a fatica.
"Voglio che tu mi baci."

Capitolo 5
stampa Andrea non riusciva a credere che Bethany avesse acconsentito al bacio pur sapendo che probabilmente sarebbe diventato molto di più. "Ti riporto in albergo?"
"D'accordo."
"Sei sicura?" E lui invece? Non aveva mai commesso una pazzia del genere, ma sapeva che gli aveva detto la verità. Su tutto. Era stata con un uomo solo, l'ex marito... quel bastardo così stupido da tradirla e poi lasciarla. L'unico rischio che potevano correre nel fare l'amore era quello di una gravidanza, ma aveva intenzione di usare il preservativo. Era infatuato, non stupido.
"Sì" sussurrò lei.
"Andiamo allora."
Bethany era certa che lui fosse abituato ad ambienti ben più lussuosi della sua camera d'albergo, ma Andrea la seguì in silenzio, avvolgendola con l'intensità del suo desiderio.
Il letto a due piazze occupava quasi tutta la stanza, che a dire il vero non era molto grande... o forse era solo un'impressione, dal momento che la sua mente era consumata dall'idea di ciò che vi sarebbe successo di lì a poco.
Bethany posò la borsa sul cassettone e si volse a guardarlo, mentre il battito del cuore accelerava per un bisogno che andava molto al di là del desiderio fisico. "Posso offrirti qualcosa?"
Ma lui le cinse la vita con le mani, attirandola a sé, e il suo corpo non oppose alcuna resistenza. "Voglio solo te, dolcezza" le mormorò.
Poi abbassò la testa fino a sfiorarle le labbra, scatenando in lei un'esplosione di fuochi d'artificio. Lei gli appoggiò le mani sul petto scolpito, affascinata dal calore che traspirava dalla sua camicia. La attraeva a un livello puramente istintivo. Il suo odore, il suo sapore, la sua stessa essenza, le colpivano i sensi, assicurando la parte primitiva che c'era in lei che Andrea le apparteneva e che era sempre stato così, ancora prima che si conoscessero. Non c'era spazio per la reticenza in questa loro unione, e il suo corpo lo aveva capito, dalla testa che esplodeva per il desiderio alle mani freneticamente impegnate a sbottonargli la camicia. Era fatto su misura per lei. E anche lei era fatta su misura per lui. Non capiva come facesse a esserne sicura, ma lo era. Non si trattava di un'avventura di una notte né di una storiella che sarebbe finita con il suo ritorno negli Stati Uniti. Era qualcosa di più. Molto di più.
Senza esitare, schiuse le labbra all'insistenza della sua lingua. Andrea s'impossessò della sua bocca così sensualmente da lasciarla stordita e tremante; si appoggiò a lui, incapace di reggersi in piedi da sola.
Era perfetto. Non aveva mai provato niente di così perfetto.
Andrea lasciò scivolare le mani dai fianchi di Bethany al fondoschiena e cominciò a toccarla, accarezzandola, stringendola, facendola impazzire di desiderio prima di scendere ancora, sotto la gonna, per accarezzare la pelle delicata e sensibile lungo le cosce e poi fino ai glutei. Era una sensazione meravigliosa, incredibile.
Bethany gemette, infilandogli a sua volta le mani sotto la camicia. Toccare il suo petto villoso era un'esperienza nuova per lei, visto che Kurt preferiva depilarsi, e la sensazione che provava nell'accarezzare la soffice peluria di Andrea le piaceva da morire; era un vero uomo. Avrebbe passato volentieri tutta la vita a toccarlo.
Lui la baciò ancora più intensamente, afferrandole le natiche per avvicinarla a sé, in modo che avvertisse senza ombra di dubbio il calore del suo desiderio. La maniera in cui premeva il corpo contro il suo, i rochi gemiti che sembravano uscirgli dalle viscere, la pressione di quelle dita sulle sue curve... tutto ciò rivelava un autocontrollo precario che Bethany non vedeva l'ora di sconvolgere.
La consapevolezza di avere questo potere su di lui la eccitava come mai nulla prima. Con quest'uomo era tutt'altro che una frigida puritana.
Andrea la sollevò un poco e lei, senza neanche pensarci, aprì le gambe cingendogli la vita. Avvertì la sua approvazione dai gemiti gutturali che gli sfuggirono dalle labbra. Andrea staccò la bocca da quella di Bethany e pronunciò un torrente di parole in italiano, di cui lei non capì molto se non "bella" e "perfetta".
"Ti voglio, Andrea."
"E mi avrai."
I loro vestiti scivolarono via; movimenti frenetici accompagnavano le parole appassionate di entrambi. Quando finalmente si lasciarono cadere, nudi, sul letto, Bethany si sentì mancare per la forza quasi dolorosa del desiderio che la tormentava.
Inarcò i fianchi. "Prendimi ora, Andrea. Ora!"
Lui armeggiò con un preservativo e fece ciò che gli aveva chiesto, entrando in lei con un'unica, potente spinta. I suoi muscoli si irrigidirono per la tensione.
"Mi avrai, amore mio. Siamo fatti l'uno per l'altra."
"Sì" sussurrò lei, mentre si abbandonava alle sue spinte possenti, attirandolo sempre più dentro di sé.
Fecero l'amore in maniera furiosa, raggiungendo insieme un orgasmo tanto intenso che Bethany per qualche attimo perse il contatto con la realtà. Quando si riprese, lui le stava baciando il viso, sussurrandole parole dolci pelle contro pelle.
Poi si impadronì di nuovo delle sue labbra e ricominciarono le carezze, il piacere, ma questa volta il ritmo fu più lento, e lui le fece di nuovo raggiungere l'orgasmo portandola un'altra volta alle stelle.
Quella notte dormirono ben poco, e trascorsero insieme anche la giornata successiva, a letto e fuori dal letto. Furono inseparabili per due magnifiche giornate. Lui fece portare le sue cose all'albergo, e poi si preoccupò di mostrarle una Roma che lei aveva solo sognato di conoscere. Il terzo giorno, invece, era fissata una riunione in banca a cui non poteva sottrarsi, seguita da aperitivo e cena.
"Non posso liberarmi, dolcezza, ma manderò un'auto a prenderti così mi raggiungerai per la cena."
Dopo due giorni di passione, due giorni in cui lui non aveva smesso di ripeterle che era la donna più bella del mondo, non poteva non sentirsi nervosa all'idea di conoscere i suoi colleghi. "Sarò pronta."
"Mettiti il vestito rosa. Ti sta d'incanto."
Il giorno prima l'aveva accompagnata a fare shopping, insistendo per comprarle qualunque cosa le piacesse. All'inizio era stata riluttante ad accettare, ma lui era stato irremovibile: era una cosa che rendeva molto più felice lui di lei.
***
"Mi dispiace disturbarla, signor di Rinaldi, ma c'è una telefonata urgente per lei. Da New York. Una questione di famiglia..."
Andrea fissò il giovane il cui tono sommesso aveva interrotto la conversazione attorno al tavolo. L'unica famiglia che aveva a New York al momento era il fratello maggiore. I loro genitori erano partiti in crociera per festeggiare l'anniversario.
"Me la passi nell'ufficio del direttore."
Dieci minuti più tardi riagganciò, in preda a incredulità mista a paura. Suo fratello Enrico era ricoverato in un ospedale di New York, in coma.
Andrea dettò rapidamente delle istruzioni al suo assistente. Gli servivano uno slot di decollo all'aeroporto, il jet privato pronto e rifornito di carburante, e dei vestiti dalla stanza d'albergo di Bethany. La chiamò, ma era ancora fuori.
Dopo aver riattaccato, si rese conto che avrebbe dovuto lasciarle un messaggio, visto che per molte ore non avrebbe più avuto occasione di parlarle. Se solo avesse potuto portarla con sé... ma sicuramente era in giro chissà dove senza cellulare, e lui non poteva aspettare che tornasse in albergo. A ogni ora diminuiva la probabilità di trovare il fratello ancora in vita.

Capitolo 6
stampa Bethany era tornata ai Musei Vaticani mentre Andrea era in riunione, ma era più impegnata a pensare che a guardarsi intorno. Teoricamente questo era il suo ultimo giorno a Roma, e non avevano ancora parlato del futuro. Forse Andrea non sapeva neanche che il suo volo sarebbe decollato il giorno successivo.
Era una cosa a cui aveva cercato di non pensare, ma adesso non poteva farne a meno. Le avrebbe chiesto di restare? Oppure di tornare? L'avrebbe seguita negli Stati Uniti se l'avesse invitato? Sapeva di essere pronta a lasciare il lavoro per restare con Andrea, se gliel'avesse chiesto. Era una follia pura e semplice... ma si era innamorata di lui, ed era un'emozione molto più profonda, molto più ardente, di qualunque cosa avesse mai provato per l'ex marito. Al solo pensiero di lasciare Andrea si sentiva come se qualcuno le strappasse il cuore dal petto. Non osava neanche immaginare come sarebbe stato andarsene per davvero.
Però, nonostante tutte le cose meravigliose che le aveva detto, lui non aveva mai accennato a una relazione duratura. Non aveva mai detto di amarla e, anche se la chiamava amore mio, Bethany non sapeva se questa fosse un'espressione tipica degli italiani o se la intendesse in modo letterale. Forse aveva solo voluto svagarsi un po' durante il viaggio d'affari a Roma; in tal caso a quale scopo rimanere? Solo per restare legata a una relazione inesistente?
Non riusciva a credere di essersi innamorata di lui, e in realtà se tutte le sensazioni che le bruciavano dentro non fossero state così intense non ci avrebbe creduto. Forse era troppo sperare che anche lui provasse lo stesso, al di là dell'indubbia attrazione reciproca. Con lui sembrava tutto vero. Duraturo. Più reale di qualunque cosa avesse mai provato... ma si trattava di sentimenti, non di fatti, e la possibilità che lui non ricambiasse questi sentimenti la terrorizzava.
Era tanto assorta nei suoi pensieri che fece tardi nel tornare in albergo; le restava solo qualche minuto per cambiarsi prima che arrivasse l'auto mandata da Andrea.
Muovendosi freneticamente su e giù per la stanza, si accorse che c'era qualcosa che non andava soltanto quando aprì un cassetto per tirar fuori un paio di collant. Non c'erano più le pile ordinate di calzini da uomo che prima stavano accanto alle poche paia di calze che si era portata a Roma. Aprì un altro cassetto, perplessa. Erano spariti anche i boxer.
Bethany si guardò attorno, e questa volta notò vari dettagli che prima le erano sfuggiti. La valigia di Andrea non c'era più. Anzi, non c'era più niente di suo, proprio niente. E non aveva lasciato nessun biglietto. Chiamò la reception nella speranza che ci fosse un messaggio per lei, ma non c'era. Il fatto che l'auto promessa non arrivasse all'ora stabilita non fu quasi neanche una delusione. Andrea l'aveva lasciata. A Bethany sfuggì all'improvviso il controllo precario che aveva sul proprio cuore; sentì che si frantumava in miliardi di pezzi intorno a lei.
***
Esausto, Andrea si stropicciò gli occhi che gli bruciavano per la stanchezza. Era in volo da otto ore e tra poco meno di un'ora sarebbe atterrato a New York. Poteva solo pregare che Enrico fosse ancora vivo al suo arrivo in ospedale. Aveva cercato di lavorare durante il viaggio, consapevole del fatto che avrebbe dovuto addossarsi per qualche tempo ogni responsabilità legata alla banca, anche se Enrico si fosse svegliato. Ma non era riuscito a concentrarsi; continuava a pensare a suo fratello, all'infanzia e l'adolescenza che avevano condiviso a Milano, e questi pensieri scacciarono efficacemente le proposte d'affari e i numeri scritti sui fogli che aveva davanti a sé. Enrico non poteva morire.
***
Andrea si fece portare in ospedale direttamente dall'aeroporto; una telefonata nel frattempo gli aveva confermato che Enrico era vivo, sebbene ancora in coma.
L'infermiera di turno lo informò che Gianna era seduta al capezzale di Enrico senza toccare cibo da ore. Andrea le portò da mangiare, sapendo che suo fratello sarebbe andato su tutte le furie se non si fosse preso cura di lei durante questa lunga ed estenuante veglia. Ora che le condizioni di suo fratello erano stabili, Andrea si rifiutava anche solo di prendere in considerazione la possibilità che non si risvegliasse.
Dopo aver parlato con i dottori ed essersi occupato di Gianna, era ormai troppo tardi per chiamare Roma. A quell'ora Bethany sarebbe stata a letto, ma lui non ce la faceva ad aspettare che per lei fosse mattino. Aveva disperatamente bisogno di sentire la sua voce, di raccontarle del fratello; aveva bisogno di sentire le parole rassicuranti che lei, con il suo cuore tenero, gli avrebbe detto.
Al momento, però, aveva ancora più bisogno di una doccia e di cambiarsi, quindi si diresse verso l'albergo che gli aveva prenotato l'assistente. Fu solo dopo una doccia rigenerante, quando stava cercando qualcosa da mettersi, che la sua mente offuscata dal sonno si rese conto che tutti i suoi vestiti erano stati portati via dalla stanza di Bethany.
Accidenti! Bethany avrebbe pensato che l'aveva lasciata senza dirle niente. Ma cos'era passato per la testa al suo assistente? Gli era almeno venuto in mente di lasciare un messaggio? Andrea gli telefonò e scoprì che non l'aveva fatto. Uno sguardo furibondo all'orologio confermò che in Italia era ancora notte. Non poteva certo chiamare a quell'ora, e comunque Gianna aveva bisogno di compagnia e sostegno durante la veglia.
Tornò in ospedale, contando le ore che lo separavano dal parlare con Bethany. Provò a telefonare a mezzanotte, sperando che fosse già sveglia.
Frastornato com'era dalla mancanza di sonno, quasi non riuscì a comprendere quando dalla reception gli dissero che Bethany aveva lasciato l'albergo. Se n'era andata perché si era sentita ferita da lui? Questa possibilità lo faceva star male, ma purtroppo era plausibile.
All'improvviso si rese conto di non sapere né quando sarebbe dovuta tornare a casa, né tantomeno dove abitasse di preciso. Gli aveva raccontato del matrimonio fallito, della famiglia e persino del lavoro, ma la sua città l'aveva menzionata una volta sola, e non gli aveva mai detto in quale Stato vivesse. Per quanto fosse difficile da credere, avevano trascorso solo pochi e brevi giorni insieme, non abbastanza per imparare tutte le cose importanti uno dell'altra. Non le aveva chiesto come mettersi in contatto con lei negli Stati Uniti perché non aveva avuto nessuna intenzione di permetterle di lasciare l'Italia... di lasciare lui. Ed era sicuro, che non aveva voluto andarsene. Adesso la doveva trovare.
***
Bethany finì di controllare i documenti finanziari per l'appuntamento successivo e sistemò ordinatamente i fogli da far firmare al centro della scrivania. Era tornata da Roma da più di una settimana, ma ancora non si era riabituata alla routine. Proprio quando voleva immergersi nel lavoro, si accorgeva che la sua capacità di concentrarsi andava a farsi benedire.
Si sentiva ancora devastata dalla fine brusca e improvvisa della sua relazione con Andrea. Era rimasta sveglia quasi tutta la notte dopo aver capito che non sarebbe tornato all'albergo, e durante il volo non aveva dormito affatto. Nonostante ciò, il suo cuore cocciuto l'aveva spinta a provare a contattarlo, una volta tornata a casa. Aveva telefonato alla filiale di Milano, visto che le aveva detto di abitare lì per gran parte dell'anno, ma la segretaria si era rifiutata di darle il numero privato di Andrea. Quando aveva chiesto di lasciare un messaggio, si era sentita dire che il signor di Rinaldi era partito per New York e che non si sapeva quando sarebbe tornato.
Era chiaro che si era presentato qualche problema di lavoro, ma il fatto che l'avesse lasciata così, senza spiegazioni, le faceva capire di non significare niente per lui. Avrebbe giurato che non si trattava solo di sesso, per quanto fantastico, che erano fatti l'uno per l'altra. Ma si era sbagliata.
Era tutto finito.

Capitolo 7

Bethany si asciugò furiosamente le lacrime, cercando di reprimere la sofferenza profonda che la tormentava. Non aveva imparato dal suo matrimonio che non c'era da fidarsi di un affascinante playboy? Stava ancora cercando di convincersi, con scarso successo, che era molto meglio essere sole che male accompagnate quando la segretaria all'ingresso chiamò per avvisarla che erano arrivati i clienti successivi.
Bethany fece un respiro profondo e si preparò a incontrare la giovane coppia che stava comprando la prima casa. Cercò di ricordare a se stessa che non aveva ricavato solo sofferenza dal tempo trascorso con Andrea. Adesso sapeva di essere capace di una passionalità incredibile. Questo era stato l'obiettivo del suo viaggio in Italia, e l'aveva realizzato. Forse non era stata pronta a pagare il prezzo richiesto, ma non aveva altra scelta se non quella di tenere duro e accettare il male insieme al bene.
Più tardi, nel pomeriggio, squillò il telefono. Alzò la cornetta. "Parla Bethany Dayton."
"Bethany."
No. Non era possibile, non dopo una settimana di silenzio totale. "Andrea?"
"Sì, sono io. È così bello sentire la tua voce, Bethany."
Certo, come no. Ma stavolta non ci sarebbe cascata. "Sei ancora a New York?"
"Sai che sono qui?"
"Me lo hanno detto in banca quando ho provato a chiamarti."
"Bene. Mi sorprende, perché abbiamo una politica di riservatezza molto rigida, ma in questo caso sono molto contento che l'abbiano ignorata. Ero sicuro che ti saresti sentita ferita quando il mio assistente ha preso tutte le mie cose senza lasciare neanche un biglietto, era inevitabile in una situazione del genere."
"Hai ragione. Era inevitabile."
"Ma adesso capisci."
A quanto pare non si era ancora reso conto che capire e accettare non erano sinonimi. Aveva capito che il marito la tradiva di continuo – Kurt proprio non era capace di rimanere fedele a una donna – ma non lo aveva certo accettato.
"Perché ti sei disturbato a rintracciarmi?"
"Non puoi non saperlo. Voglio che tu mi raggiunga a New York."
"Non penso proprio."
"Manderò il mio jet privato a prenderti. Non dovrai neanche preoccuparti di prenotare un biglietto."
"Non verrò a New York, Andrea, né con il tuo aereo, né con un altro."
"Non vieni? Non vuoi venire?" Sembrava confuso, addirittura sconvolto per il suo rifiuto.
E con ragione, visto che apparentemente la riteneva un'ingenua. Forse un tempo lo era stata, ma non più, ne aveva avuto abbastanza. Oltre a ciò aveva trascorso una settimana intera a costruirsi un altro muro di difesa attorno al cuore. Ma sentire quella voce era dannoso per la sua guarigione, quindi le conveniva tagliare corto. Oppure avrebbe commesso qualcosa di veramente stupido, come accettare di diventare la sua amante a tempo perso e imbarcarsi per New York non appena fosse arrivato il jet privato.
"Senti, Andrea, ci siamo divertiti finché è durata, ma adesso è finita. Non mi interessa un bis di Roma."
"Non vuoi continuare la nostra relazione?"
Relazione non era certo la parola che avrebbe usato lei, considerando che a lui interessava soltanto sesso senza impegno in modo da potersene andare quando gli tornava comodo. "No, non voglio."
"Bethany, non volevo lasciarti. Ma avevano bisogno di me, non potevo non venire."
"Certo, immagino." Sicuramente era un importante uomo d'affari, ma non sopportava l'idea di stare con lui sapendo che il bisogno che provava non era reciproco.
"Pensavo che avresti capito." La sua voce era diventata roca per la stanchezza, come se la conversazione lo avesse privato di ogni energia.
Forse stava davvero lavorando tanto.
Bethany respinse lo slancio di compassione e rispose "Ti sbagliavi."
"Lo vedo."
"Volevi dirmi qualcos'altro?"
"No, niente."
Mentre riattaccava, sentì il bruciore lento delle lacrime che le scendevano lungo le guance.
***
Andrea riagganciò la cornetta, pervaso da un senso di desolazione che distruggeva la felicità provata quando aveva saputo che la costosissima agenzia investigativa internazionale che aveva ingaggiato era riuscita a rintracciare Bethany. Anche il sollievo per il risveglio di Enrico diventava quasi ininfluente di fronte all'idea di essersi sbagliato sul conto di Bethany e di averla persa. Gli aveva detto di voler rafforzare il proprio potere femminile; le aveva dato l'occasione per farlo, e adesso non voleva più saperne di lui.
Come poteva essersi sbagliato così sul suo conto? E come poteva lei essere così priva di compassione?
Dopo tanti giorni in cui aveva dormito poco e male, non aveva la forza mentale per affrontare la situazione. Aveva già troppi problemi da risolvere, non poteva pensare anche alla propria vita privata. Enrico si era risvegliato, ma era paralizzato dalla vita in giù. I dottori erano fiduciosi che avrebbe ripreso a camminare e Gianna ne era certa, ma l'ottimismo di Andrea era stemperato da una preoccupazione che si sforzava di nascondere.
Andrea non poteva permettersi di piangere sulla propria perdita, questo lo avrebbe distrutto; doveva essere forte sia per il fratello, sia per la banca da gestire durante la convalescenza di Enrico.
***
Bethany si mise a sfogliare una rivista nella sala d'attesa mentre aspettava che la chiamassero per i risultati delle analisi. Sapeva comunque già che cosa le avrebbe detto il dottore. I sintomi erano inconfondibili e oggigiorno i test di gravidanza erano accurati al novantotto per cento. Portava in grembo il figlio di Andrea.
Lui aveva usato il preservativo ogni volta che avevano fatto l'amore, eppure era riuscito a metterla incinta. C'era sempre un fattore di rischio legato ai contraccettivi, ma un preservativo non doveva rompersi per non funzionare? Ripensando ad alcune delle cose che avevano fatto, in effetti poteva capire come fosse successo... ma come avrebbe reagito Andrea all'idea di diventare padre? Perché non poteva non dirglielo, e una piccola parte di lei era felice di avere una scusa per rivederlo.
Fissò la rivista senza vederla, in preda a un conflitto di emozioni. Nelle ultime cinque settimane non aveva fatto altro che chiedersi se era stata più sciocca a fidarsi di Andrea quando si erano conosciuti o a rifiutarsi di rivederlo e ascoltare le sue spiegazioni. Più ci pensava, più si convinceva che avrebbe dovuto offrirgli un'altra possibilità.
Si era arresa troppo presto, ma solo dopo qualche giorno aveva capito che lo aveva fatto per paura – paura dell'intensità dei sentimenti che provava per Andrea. Kurt l'aveva ferita tantissimo, eppure per lui non aveva provato neanche un decimo di quello che sentiva per Andrea dopo la loro prima notte insieme.
Sospirò e fece per chiudere la rivista quando le cadde lo sguardo sulla fotografia di un uomo. Assomigliava ad Andrea, ma non era lui. Oppure sì? La didascalia diceva Il grave incidente che ha paralizzato il magnate bancario Enrico di Rinaldi scuote la comunità finanziaria. L'articolo diceva che era stato investito da un'auto mentre tentava di sventare una rapina e che era rimasto in coma per cinque giorni. L'incidente era avvenuto il giorno in cui Andrea se n'era andato da Roma.
Leggendo della lotta di Enrico per rimanere in vita, della paralisi e del fatto che "il fratello minore" aveva dovuto addossarsi moltissime responsabilità in più mentre Enrico si sottoponeva a faticose sedute di fisioterapia, Bethany si sentì stringere lo stomaco per la nausea. Andrea aveva avuto bisogno di lei, ma lei si era rifiutata di ascoltarlo. Scattò in piedi e corse in bagno, appena in tempo per vomitare nel lavandino.

Capitolo 8

Mentre si avvicinava alla reception della filiale principale della Banca Rinaldi, Bethany aveva i nervi a pezzi. Si era fermata in albergo dopo il lungo volo, ma si era data solo una veloce rinfrescata prima di chiamare un taxi che la portasse al quartiere finanziario di Milano.
Non riusciva a credere di essere di nuovo in Italia. Quando aveva lasciato Roma sette settimane prima, soffriva così tanto che era certa che non sarebbe mai tornata. Stava male anche adesso, ma non per sé. Era tormentata dalla compassione che provava per Andrea, per cosa aveva passato.
Era venuta a chiedergli di perdonarla e a dirgli del bambino. La mossa successiva sarebbe toccata a lui. Doveva vederlo, ma era terrorizzata dall'idea che potesse rifiutarla con la stessa freddezza con cui l'aveva liquidato lei.
Disse il proprio nome alla segretaria, che la fissò, curiosa, mentre chiamava l'assistente di Andrea. Parlò rapidamente in italiano e riagganciò. "Il signor Mercado sarà qui tra poco per accompagnarla all'ufficio del signor di Rinaldi."
Bethany non capiva perché questa volta fosse stato così facile riuscire nel suo intento, considerando che la volta precedente la donna non era stata assolutamente disposta a darle il numero privato di Andrea. Forse si trattava di una segretaria diversa.
Un giovane in giacca e cravatta e con un'espressione severa le toccò la spalla. "Signorina Dayton?"
"Sì."
"Il signor di Rinaldi può vederla nel suo ufficio."
"Sa che sono qui?"
"Sì." Adesso anche il tono del giovane si era fatto severo. "Da questa parte, prego."
Bethany lo seguì, con il cuore che le batteva all'impazzata. Il tragitto in ascensore fino all'ultimo piano le sembrò lunghissimo. Andrea era al telefono quando entrò nel suo ufficio – una stanza enorme, bellissima, arredata con classe ed eleganza in legno scuro, con quadri classici appesi alle pareti. Bethany si mordicchiò il labbro, guardandosi intorno. I loro stili di vita erano così diversi, eppure erano entrati subito in sintonia come se tutto ciò non avesse alcuna importanza. Se lo sarebbe ricordato, questo, oppure avrebbe pensato solo alla crudeltà con cui l'aveva trattato, sebbene fosse stato frutto della paura?
Andrea riattaccò e si alzò in piedi. "Bethany. Tua madre per caso ti ha pagato un altro viaggio in Italia?"
Bethany scosse la testa, cercando di divorarlo con occhi che erano affamati di lui tanto quanto il cuore. "Sono venuta perché dovevo vederti."
"L'ultima volta che ci siamo sentiti, mi è parso di capire invece che non volevi più vedermi."
"Mi sbagliavo." La sua voce si spezzò nel tentativo di non piangere, e dovette respirare a fondo più volte prima di riprendere a parlare. Non voleva piangere di fronte a lui, per non caricarlo anche del proprio dolore. "Mi dispiace così tanto, Andrea. Sono stata una sciocca e lo capisco se non vuoi vedermi mai più. Ma ti amo e ho bisogno di te e passerò tutta la vita a cercare di farmi perdonare per averti deluso, se solo mi darai un'altra possibilità."
Andrea rimase in silenzio, l'espressione arcigna.
"Io non lo sapevo" spiegò Bethany con voce strozzata. "Non sapevo di tuo fratello. Pensavo che tu fossi partito per affari, che mi avessi lasciata senza una parola. Quando mi hai detto che il tuo assistente non aveva lasciato nessun messaggio, ho creduto che non mi considerassi abbastanza importante per occuparti di me di persona. Mi sentivo così ferita..." Si fermò per raccogliere le idee; non voleva partire per la tangente. "Lo so che se ti avessi dato ascolto quando mi hai chiamato, avrei potuto evitare che entrambi soffrissimo. Ma eri già il padrone del mio cuore. Credevo che vederti avrebbe reso tutto più difficile, e quella che mi sembrava la tua indifferenza mi avrebbe uccisa."
Gli scrutò il volto, cercando di capire cosa gli passasse per la testa, ma lui la fissava immobile e inespressivo. "Andrea?"
L'unico segno di vita fu l'irrigidirsi della sua mascella, e Bethany abbassò lo sguardo in preda alla disperazione. E adesso come faceva a dirgli del bambino? Forse con una lettera? Era chiaro che non avrebbe fatto salti di gioia a sentire la notizia, e lei non sopportava l'idea di vedere l'orrore nei suoi occhi nel momento in cui avesse saputo che proprio lei portava in grembo suo figlio. Fece per andarsene.
"Non sapevi di Enrico?"
Bethany si fermò a metà stanza. "No."
"Era su tutti i giornali." Adesso le stava alle spalle, anche se non l'aveva sentito avvicinarsi.
"Non leggo i giornali."
"Quando l'hai scoperto?"
"Tre giorni fa."
"Sei venuta subito, allora."
"Ma troppo tardi."
Le posò la mano sulla spalla e la girò verso di lui. "Troppo tardi per cosa?"
Bethany alzò lo sguardo, sentendosi sommersa dalla forza dell'amore che provava. "Per esserti vicina quando avevi bisogno di me."
"Io avrò sempre bisogno di te."
Aveva sentito bene?
"Hai detto che mi ami." Gli occhi di Andrea erano fissi sui suoi, come per accertarsi della sincerità delle sue parole.
Incredula all'idea di poterlo fare, Bethany si aggrappò alla sua camicia. "Ti amo così tanto, Andrea, che mi fa paura."
"Ed è perché hai avuto paura che mi hai respinto?"
Non ce la faceva più a contenere le lacrime. Un'ondata potentissima di sollievo e speranza la sommerse all'improvviso. "Sì."
"Abbiamo trascorso poco tempo insieme, troppo poco per concretizzare la nostra relazione."
Bethany annuì, deglutendo; l'emozione le impediva di parlare.
"Ti amo anch'io, piccola mia."
"Anche dopo che ti ho trattato così male?"
Come risposta, Andrea si chinò a baciarla, e il bisogno che provava per lui era talmente forte che si sentì avvampare non appena le sfiorò le labbra. Scoprì che c'era un appartamentino annesso all'ufficio; lui la condusse lì e fecero l'amore con una disperazione vorace che dimostrava quanto anche Andrea avesse bisogno di lei.
Dopo, Bethany si accoccolò vicino al corpo caldo e muscoloso di Andrea. L'amava e l'aveva perdonata, e la notizia del bambino lo avrebbe reso felice. Ne era sicura.
"E ora ci sposiamo il prima possibile, non voglio altri malintesi."
"Mi piacerebbe molto, ma prima devo dirti una cosa." Gli accarezzò il petto villoso; perfino le dita le fremevano per l'esultanza di poterlo fare.
Lui le sollevò il mento. "Sei nervosa. Che cosa c'è?"
Bethany deglutì. E se non le avesse creduto, come lei non aveva avuto creduto in lui? Se avesse pensato che il bambino non era suo? Che l'aveva fatto di proposito per intrappolarlo? Ma si rifiutò di farsi intimidire da quelle possibilità terrificanti. Prese un profondo respiro. "Sono incinta."
Andrea si irrigidì, sembrava non respirare più. "Come hai detto?"
"Avremo un bambino."
"Ed è per questo che sei tornata da me?"
Bethany non sapeva a cosa stesse pensando, ma scosse la testa. "No. Cioè, sì." Non gli avrebbe mentito, neanche per omissione. "Avevo intenzione di venire quando mi sono resa conto di essere incinta, ma niente al mondo mi avrebbe tenuta lontana quando ho scoperto di tuo fratello, anche senza il bambino. In realtà, se avessi saputo come rintracciarti a New York, probabilmente non sarei riuscita a restare a casa così a lungo, malgrado tutto. Avevo bisogno di te, Andrea, e starti lontano mi stava uccidendo poco a poco."
"Uccideva anche me, Bethany." Le guardò il ventre ancora piatto, sfiorandolo con riverenza. "Qui c'è mio figlio."
"Sei contento?"
La guardò, e la gioia che traspariva dai suoi occhi scuri era così intensa che quasi si mise a piangere. "Come puoi dubitarne?"
"Ti amo, Andrea. Per sempre."
"E io, Bethany, ti amerò finché vivrò."
Si sposarono con una cerimonia privata, senza dirlo a nessuno, una settimana più tardi. Quando però informarono la famiglia di Andrea, la madre insisté perché si celebrasse una doppia benedizione con Enrico e Gianna, che nel frattempo si erano sposati. La signora di Rinaldi addirittura fece arrivare dalla Spagna una mantiglia di pizzo come quella di Gianna per Bethany. I genitori di Bethany vennero in Italia per la cerimonia, e i festeggiamenti durarono fino a tarda notte dopo che entrambe le spose annunciarono di essere in dolce attesa.
Gianna e Bethany concordarono che i fratelli di Rinaldi sarebbero stati dei mariti perfetti perché sapevano amare con grande passione ed era incredibilmente facile amarli.
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